videoricette2

luglio 4, 2011




videoricette1

luglio 4, 2011




videoricette3

luglio 4, 2011





video delle ricette: cucina ebrico-romanesca

giugno 28, 2011




cucina romana nell’antica roma

giugno 20, 2011

La Cucina romana nell’antichità

I pasti degli Antichi Romani

Scoprire le abitudini culinarie degli antichi romani è divenuto, ormai da tempo, un tema di grande interesse. Gli amanti della cucina, oltre a scoprire le antiche abitudini, si dilettano a cucinare, assaporare e degustare le bevande e i cibi che gli antichi romani usavano preparare per i propri pasti.

Nell’Antica Roma si usava consumare tre pasti al giorno: jentaculum (la nostra prima colazione), il prandium (il nostro pranzo) e la coena (la nostra cena).
Il primo pasto detto jentaculum era molto simile alla nostra prima colazione, consumata nelle prime ore del mattino. Era un pasto leggero e semplice a base di pane, formaggio, frutta secca, miele, latte e vino, con il quale veniva condito il pane. I più poveri usavano fare il primo pasto semplicemente a base di pane bagnato nel latte o nel vino.

Poco prima di mezzogiorno, veniva consumato il secondo pasto della giornata il prandium. Questo pasto veniva consumato velocemente e in piedi; era un pasto freddo a base di legumi, verdura, frutta e pesce.

La cucina dell’Antica Roma si basava principalmente sul pasto serale, l’ultimo pasto della giornata: la coena.
Le famiglie più povere finivano la loro giornata con un semplice pasto a base di farina, legumi e verdure, una sorta di pasticcio nutriente ma dal gusto sempre uguale.
Per le famiglie patrizie, invece, la cena era un momento di divertimento, dialogo e riunione di familiari, amici, protettori.
L’ultimo pasto della giornata poteva durare diverse ore ed era animato da diversi piatti e ghiottonerie di ogni genere conditi con particolari salse e accompagnati da vino e bevande.


libri sulla cucina romana

giugno 20, 2011


Una ricerca rigorosa tendente a riportare in luce la schietta tradizione culinaria romana, purificandola di tutti gli elementi eterodossi che le vengono ormai comunemente attribuiti anche in pubblicazioni di carattere tecnico.


LA GRANDE TRADIZIONE GASTRONOMICA ROMANA E DEL LAZIO GODE DI UNA FORTUNA SECOLARE, NUTRITA DA UN leggi tuttoPATRIMONIO CULTURALE STRAORDINARIAMENTE RICCO E SOLIDO, LO DIMOSTRANO I TANTI TESTI CHE CELEBRI AUTORI DI IERI E DI OGGI PRIMO FRA TUTTI IL BELLI – HANNO DEDICATO A QUESTA SONTUOSA CUCINA, ACCANTO AI DIVERTENTI, ANONIMI STORNELLI POPOLARI O AI NUMEROSI PROVERBI E MODI DI DIRE CHE HANNO RESO IMMORTALI MOLTI DEI SUOI PIATTI. IN QUESTO VOLUME LE RICETTE SONO STATE RACCOLTE, ORDINATE E DESCRITTE IN MODO TALE DA STABILIRE UN DIALOGO CONVINCENTE E GARBATO CON IL LETTORE, ANDANDO OLTRE I DATI STRETTAMENTE NECESSARI: INGREDIENTI, DOSI, TEMPI E MODI DI PREPARAZIONE E COTTURA


Un libro che percorre i 4 tempi della cucina romana.
1. La cucina apiciana di Gavio Apicio che ingrassava le murene con la carne degli schiavi
2. La cucina giudìa nata dalla Bolla di Papa Paolo IV nel 1555 che limitava agli ebrei del ghetto di acquistare alcune derrate alimentari
3. La cucina secreta inventata da un cuoco famoso ma che nessuno vedeva ovvero Bartolomeo Scappi che ha scritto un trattato di cucina in sei volumi, Opera
4. La cucina pastorale o testaccina che è una cucina fusion nata dagli apporti di tanti che arrivano nella nuova capitale d’Italia


Un viaggio nella tradizione culinaria di Roma, per scoprire in ogni piatto i sapori che provengono dalle lontane origini latine al gusto popolare della campagna romana, dalle sontuose pietanze di principi e cardinali ai piatti robusti e semplici delle trattorie. In questo libro, le proposte gastronomiche si accompagnano a riferimenti storici e letterari di chi – con brani, poesie o semplici detti – ha reso celebre e ancor più gustoso “er mejo de la cucina romana”.


Oltre 200 ricette che vanno dagli antipasti ai dolci; il meglio di un’antica tradizione culinaria viene messo a disposizione affinchè ogni lettore possa concedersi il piacere e la felicità conviviale che solo una buona tavola può dare. Le origini della cucina romana vengono fatte risalire da alcuni studiosi addirittura alla Roma imperiale: cucina semplice e non ricercata per eccellenza, realizzata con ingredienti facili da reperire e sempre a portata di mano. Il volume raccoglie inoltre le principali ricette della cucina ebraico-romanesca: dai notissimi carciofi alla giudia al risotto di Shabbat, dal pane a forma di treccia agli aliciotti con l’indivia.


La pubblicazione Ricette tradizionali delle provincia romana. Trasmettere la memoria gastronomica, ideata come strumento didattico per i seminari promossi di recente dal BAICR per conto della Provincia di Roma, è diventata un utile supporto per la cucina degli agriturismo. Curato da Oretta Zanini De Vita – coordinatore dei seminari ed esperta di tradizioni gastronomiche – il quaderno è stato presentato nel corso dell’inaugurazione del ciclo di aggiornamento rivolto a gestori ed operatori delle aziende agrituristiche della provincia, organizzato dall’Assessorato alle politiche dell’Agricoltura e dell’Ambiente della Provincia di Roma ed dal Consorzio BAICR Sistema Cultura. Obiettivo dell’iniziativa, la riscoperta della gastronomia tradizionale dell’area romana e del rapporto tra territorio, cibo e cultura in chiave antropologica e turistica.
Le ricette del quaderno – nel quale sono state volutamente omesse le ricette tradizionali più largamente diffuse – sono state scelte soprattutto per riportare l’attenzione su quella miriade di preparazioni, soprattutto zuppe, quasi dimenticate e in via di estinzione, che meritano di essere recuperate, non solo per mantenerne la memoria, ma anche perché a ben vedere, sono preparazioni gastronomicamente interessanti anche per un raffinato gourmet odierno. Un piccolo aiuto affinché gli operatori agrituristici si facciano con coscienza diffusori della cultura enogastronomica della terra in cui vivono, e in questo senso fedeli custodi della storia delle nostre radici.


La cucina romana nasce come insieme di diverse tradizioni. Dalla Roma classica, alla cucina ebraica, ciociara, abruzzese,fino alla vicina costa tirrenica, in un insieme che la rende una delle più gustose cucine regionali italiani. Il volume non si limita a un ricco ricettario (oltre 200 ricette), ma approfondisce la storia delle osterie e dei locali storici attraverso anche aneddoti e curiosità, descrive i prodotti della campagna romana, celebra i piatti delle ricorrenze e i menu stagionali. Il volume è pertanto una sorta di racconto del costume culinario e delle tradizioni romane, di quelle ancora esistenti e di ciò di cui resta soltanto la memoria. L’introduzione è del noto giornalista e scrittore Stefano Malatesta


aromi nella cucina romana

giugno 20, 2011


La funzione gastronomica del prodotto dei campi nel tempo muta profondamente e interviene a variare, arricchire, rendere ancora più complessa e opulenta la preparazione dei cibi.
Diventa contorno e guarnizione di piatti a base di carne e di pesce; contribuisce alla composizione delle salse; imprime un’accelerazione alla ricerca e all’affinamento dei sapori; stuzzica l’inventiva dei cuochi e la curiosità dei buongustai. In una parola, assume il ruolo che ha oggi, persino nell’indicare l’ideologia di un’alimentazione meno pesante e più sana.
Come i moralisti, anche gli esperti di agroalimentare, da Varrone a Columella, sono pienamente consapevoli del nuovo cliente al quale la produzione agricola si rivolge. I loro trattati sono lo specchio della straordinaria diversificazione produttiva delle aziende del tempo.
Se si fa eccezione per gli ortaggi che giungeranno solo più tardi nel bacino del Mediterraneo, (melanzane, peperoni, patate, pomodori) tutti quelli che intervengono oggi nella nostra cucina sono già coltivati nel periodo che va dal 100 a.C. al 100 d.C. E tutti sono presenti nelle elaborazioni della cucina romana.
Precedente al I secolo d.C. è la distinzione tra gli ortaggi da insalata e quelli destinati a preparazioni più elaborate. È Plinio a dircelo:
“Dell’orto si tenevano in gran conto i prodotti che non avevano bisogno di cottura e facevano risparmiare legna, sempre pronti e disponibili, detti acetaria, facili da digerire, tali da non appesantire l’organismo a causa del cibo e da ridurre al minimo il desiderio di pane. Un’altra parte di questi, destinata ai condimenti, dimostra che abitualmente non si dipendeva da altri, non come ora che importiamo il ricercato pepe indiano e altri prodotti esotici”.
Condita inizialmente solo con aceto (da qui il nome di acetaria attribuito alle verdure), all’insalata si incomincia ad aggiungere l’olio solo nel I secolo d.C.
A questo genere appartengono il crescione, l’indivia, la ruchetta e, soprattutto, la lattuga, quella detta ancora oggi “romana” che i legionari erano tenuti a piantare ai margini del castrum insieme alla vite.

Circa le piante odorose e i semi aromatici, si può dire che tutte le fragranze del Mediterraneo come dell’Asia intervengono puntualmente nell’alta cucina romana: dal cumino al basilico, dal timo alla maggiorana e alla ruta, dalla santoreggia alla nepitella; e poi la menta, l’aneto, il finocchio selvatico, il coriandolo, lo zafferano, il serpillo.
Il manuale di Apicio è un autentico trionfo degli aromi, anche se non di rado un po’ troppo confusi e ridondanti. Si deve però notare che in questo campo la cucina della “caput rerum” è capace di sintetizzare gli aromi del mare nostrum più di quanto siano riuscite a fare le cucine delle epoche successive. Oggi, infatti, è possibile distinguere una certa diversità di toni tra una cucina occidentale in cui prevalgono il basilico, il timo o il prezzemolo, e le fragranze arabe, dominate dal coriandolo, dal cumino e dallo zafferano.
la mentuccia (Calamintha nepeta, anche detta Nepetella o Poleggio, presente da un capo all’altro del Mediterraneo), la Menta romana (Mentha spicata), il lauro, il rosmarino sono usate in particolare nella cucina romana.


dolci della cucina romana

giugno 20, 2011

MARITOZZO CON LA PANNAIngredienti per la preparazione di 12 maritozzi:

gr. 250 di farina
gr. 25 di lievito di birra
un uovo
gr. 70 di burro (o margarina)
1 cucchiaino da caffè di sale
5 cucchiai di zucchero

Preparazione maritozzi con panna:

Prendete la farina e il lievito di birra e preparate l’impasto, aggiungendo (dopo aver impatato bene) anche l’uovo con il burro. Impastate bene con forza e aggiungete poi lo zucchero, ora dopo aver impastato bene anche lo zucchero mettete l’ impasto in luogo tiepido a lievitare almeno 3 ore, potete anche aspettare meno ma guardate bene che la pasta abbia lievitato bene, deve diventare almeno il doppio del volume precedente.
Ora prendete la pasta e dividetela in 12 parti e formate dei piccoli panetti e disponeteli su una teglia unta (poco) e schiacciateli leggermente col palmo della mano.
Ora che i panetti sono nella teglia dovete aspettare altre due ore che la pasta lievita nuovamente, passate le due ore infornate quindi a oltre 250 gradi per 7-8 minuti, i maritozzi devono riuscire dorati e morbidi.
Per dare il tocco finale spegnete il forno prendete i maritozzi spennellarli con un po’ di zucchero sciolto in poca acqua e rinfornarli per un minuto circa, il tempo di far sciogliere lo zucchero.
Ora vi è rimasto solo da montare la panna che inserirete nel maritozzo dopo che si sia raffreddato e dopo avervi fatto un taglio verticale nel centro, i vostri maritozzi sono pronti…

BIGNè DI SAN GIUSEPPE
Ingredienti:
2 uova
3 cucchiai di zucchero
50 g burro
100 g farina
olio
sale qb
zucchero a velo

PREPARAZIONE: Scaldare 1 bicchiere d’acqua con 50 g. di burro e un pizzico di sale. Appena l’acqua comincia a bollire, versare tutta insieme 100 g. di farina e continuare a mescolare per 5 minuti durante la cottura. Lasciare raffreddare la pasta e solo allora aggiungere, molto lentamente, 2 uova battute, 3 cucchiai di zucchero circa. Scaldare intanto in una padella abbondante olio; prima che diventi caldissimo versare l’impasto dei bignè a cucchiai non troppo grandi ( non far scaldare mai troppo l’olio).
A parte preparare la crema pasticcera . Con l’aiuto di una siringa per dolci riempire i bignè fritti e spolverizzarli con lo zucchero vanigliato

PANGIALLO
Ingredienti:
300 g di uva passa
200 g di mandorle
200 g di noci
200 g di nocciole,
100 g di pinoli
100 g di farina
200 g di miele
150 g di cacao
50 g di cioccolato a scaglie

PREPARAZIONE: Tritare tutti gli ingredienti e riscaldare il miele in un pentolino a fuoco molto basso. Mettere
in una bacinella il tutto e mescolare con un cucchiaio di legno finché non si avrà un impasto denso.
Prenderlo poco per volta con le mani e formare dei panetti premendo con forza e addensandolo. Sistemarli nel forno e far cuocere per circa mezz’ora.

CASTAGNOLE
Ingredienti:
200 g farina
2 uova
4 cucchiai di zucchero
50 g di burro

PREPARAZIONE: mescolare 200 g. di farina con 2 uova, 4 cucchiai di zucchero e 50 g. di burro fuso. Amalgamare bene ogni cosa e per dare alle castagnole la caratteristica forma di piccole palline, versare un cucchiaino di impasto per volta nella padella.

FRAPPE

Ingredienti:
200 g farina
50 g burro
1 uovo
100g zucchero
sale qb

PREPARAZIONE: mescolare 200 g. di farina con 50 g. di burro fuso, 1 uovo intero e 1 rosso, 100 g. di zucchero e un pizzico di sale. Stendere una sfoglia molto fine e tagliarla a strisce piuttosto lunghe, annodando ciascuna striscia intorno a se stessa. Per ottenere frappe veramente leggere e vaporose friggeterle in abbondante strutto bollente. Sistemarle su un piatto abbastanza grande e spolverizzarle con zucchero a velo.

MOSTACCIOLI ALLA ROMANA

Ingredienti per 4 persone:
70 g di farina 00
2 etti di noci sgusciate
2 albumi d’uovo
1 ½ etti di miele
Cannella e pepe qb

Procedimento:
preparate un impasto omogeneo con tutti gli ingredienti. Stendetelo con cura in modo da formare uno strato rettangolare alto circa un centimetro e mezzo. Tagliate in rombi la pasta e disponeteli su una teglia antiaderente, che metterete in forno a 160 gradi per 25 minuti circa. Togliete la teglia dal forno e lasciate freddare i mostaccioli. Buon appetito..


ricette di arturo e kiwi:spaghetti alla carbonara

giugno 16, 2011

origini della cucina romana

aprile 6, 2011

a href=”https://icinque.files.wordpress.com/2011/04/32b2423622d0fcd5651dc5f87da41b20.jpg”>Tramontato l’Impero che aveva dominato il mondo, Roma conobbe un graduale e inarrestabile declino politico, mentre avanzava a grandi passi la sfera religiosa capitolina. Se una volta le ricche matrone potevano permettersi piatti esotici, fatti venire direttamente dalle lontane province assoggettate, ora il popolo doveva accontentarsi degli scarti.

Gli scarti dei benestanti. Preti, vescovi e signori divoravano avidamente i migliori quarti di carne, lasciando al popolino il cosiddetto “quinto quarto”.
Questo però non scoraggiò l’arte culinaria che seppe fiorire anche su premesse non incoraggianti. Cuore, fegato, milza, lingua, cervello e coratella (l’insieme delle interiora ovine) divennero piatti diffusi nei ceti bassi, fino a diventare specialità tipiche romane.

Inoltre Roma ha da sempre potuto usufruire dei prodotti dell’Agro e delle zone circostanti, come l’onnipresente olio laziale e i maiali umbri. Legumi e cereali, farinate e polente, passavano sotto le mani sapienti di chi cucinava in casa.
Il risultato erano piatti sostanziosi, tutt’altro che leggeri.
In prevalenza si trattava di primi, con la pasta che faceva da padrona accompagnata da patate, broccoli e via dicendo. Gli aromi non mancavano: menta romana e lauro. Successivamente veniva servito in tavola il già citato quinto quarto.
In occasione delle festività i pastori dell’Agro portavano in città abbacchi e capretti, i quali risaltavano anche sulle tavole dei ricchi, insieme alla carne di piccione e ai fritti in pastella.
<
La comunità ebraica contribuì poi ad arricchire con nuove pietanze l’elenco dei piatti romani. Come non citare i carciofi alla giudìa, entrati a far parte della tradizione insieme ai rigatoni con la pajata, agli spaghetti alla carbonara, i bucatini all’amatriciana, la coda alla vaccinara e la trippa romana accompagnata da un invitante pecorino.

La povertà originaria si trasformò dunque in ricchezza, regalando al palato sfaccettature dal sapore forte, in grado di richiamare la memoria dei secoli passati. Oggi è ancora possibile gustare la vera cucina romana in non molti locali della capitale, e solitamente si tratta di trattorie gestite a livello familiare in zone di periferia. Conosciute e frequentate più che altro dalla gente del posto.